Opere » L'arte di Verdirosi
dalla rivista Fermenti, anno XII, Maggio-Giugno 1982
Ho scritto arte e non pittura di Umberto Verdirosi per la ragione precisa che egli è arrivato alla pittura, alla scultura, alla poesia — per non parlare della sua grafica — attraverso quel suo amore costante per il teatro. Artista, dunque, ma soprattutto creatore di un suo mondo, dal quale traspare la fantasia e l'esigenza di unificare le dimensioni dell'arte con una inventiva che stupisce. Si tratta qui di quel « meraviglioso » di cui parla Breton, poeta e teorico del Surrealismo.
Ho conosciuto Verdirosi nella sua casa studio, ma ignoro l'attore, cioè l'interprete vivente della finzione teatrale.
Immagino, con certezza, che Verdirosi. avendo vissuto sulla scena il doppio spettacolo dell'arte e della vita, si sia scoperto artista. Dirò subito che questo artista è, senza dubbio, dotato di una energia poetica personalissima, riscattata da una umanità ricca di umori e di segreti amori per ciò che vive fra la realtà e quell'impulso onirico che fa di lui un pittore più che del Surreale, del Superreale.
Intanto posso dire di lui che è un pittore in cui coesistono le componenti della poesia, della scultura, della finzione scenica e della riflessione sul sentimento drammatico e plurisenso della stessa esistenza. Le sue interpretazioni grafiche (non semplici illustrazioni) dei sonetti di Shakespeare. testimoniano quanto sia viva in lui l'esigenza di umanizzare la finzione e anche di capire, in profondità, quanto la stessa finzione conservi e riveli la umanità che si fa storia e diversificazione.
Questo artista possiede una luce interiore popolata di fantasmi, e a questi fantasmi egli da una vita propria, attraverso colori e sfondi in contatto con una vibrazione delicata che si traduce in sorprendente magia. La lettura attenta dei suoi dipinti e delle sue sculture, infatti, ha tutta la malia della invenzione e dello stile, espressi in modo nitido, pittoricamente validi per un giudizio critico unitario. Le ragioni di tale pittura, che ha come sua essenza di fondo la morsa esistenziale, possono anche essere ricercate in una condizione umana che ha come coordinate costanti la solitudine, sofferta con amore e una sommessa, troppo scandita inquietudine, davanti a una realtà che va sempre più incenerendosi, ma che trova, nella invenzione artistica, la sua epifania.
E qui, si profila il colore ineliminabile della forma, quale elemento necessario per un adeguato giudizio estetico. Kant, nella sua « Critica del giudizio », afferma una verità che possiamo senz'altro considerare quasi come un postulato. « Nella pittura, nella scultura, nella architettura, in quanto sono arti belle, l'essenziale è il disegno (oggi, alcuni critici dicono segno) in cui ogni affermazione del gusto non riposa su ciò che alletta nella sensazione, ma su ciò che piace semplicemente per la sua forma. I colori, che avvivano il disegno, appartengono ali attrattiva; possono bensì rendere grato l'oggetto per la sensazione, ma non farlo degno dell'intuizione del bello ».
Ebbene, in Verdirosi, come in molti pittori del Rinascimento, l'elemento figurativo che acquista valore d'arte, è appunto il disegno colorato: cioè la creazione intesa come forma e non come diletto dei sensi. La forma, come la intende Kant, è principio e fine del giudizio critico-estetico di qualsiasi arte. Essa stimola la fantasia; è l'essenza stessa della creatività, intesa come simbolo, allegoria, ricostruzione del reale, collocato in una dimensione fisica e metafisica. Si tratta, ben inteso, di un irreale-concreto, proiettato, attraverso una originale figurazione nelle dimensioni dello spazio e del tempo.
Nell'artista Verdirosi predomina difatti quella componente poetica che colloca oggetti e personaggi, simboli e analogie, in una o più dimensioni liberatorie. In tal modo, emerge una pittura sempre configurabile nell'area dello stupore. Gli stessi titoli, del resto, precisano la sorpresa pittorica e sono strettamente legati alle immagini disegnate e poi dipinte. Significato e significante diventano, in tal modo, una struttura pittorica unitaria.
« La Stiva », per esempio, oltre a darci la sensazione della tridi-mensionalità, si presenta con una serie di simboli sui quali predomina l'attesa: il pittore è appoggiato e assorto sulle tele bianche, fra le quali appaiono, qua e là, i personaggi, simboli che l'artista predilige e che attendono di essere collocati nel loro luogo naturale, rappresentati, qui, dalle tele. Nel dipinto dal titolo « L'Ambizione » il senso allegorico è più evidente in quanto esso si traduce in satira. Il fondo nero appunto sta a significare quel nulla in cui si annienta ogni vicenda umana, degradata fino ad assumere le sembianze d'una maschera vuota.
« L'Arlecchino sul Baule », più che una allegoria è senz'altro una rappresentazione del mistero: un entrare e uscire dalla vita, tenuta segretamente chiusa, come fosse un antico poetico sogno d'un uomo, segnato dal dolore e liberato dalla stessa finzione. Stupenda la prospettiva. Curvo su se stesso un Arlecchino che attraversa, quasi angosciato, il passaggio dalla stessa finzione alla rinascita esistenziale.
«Magia nello Studio» ha una sobrietà cromatica sfaccettata, su cui domina una specie di silenzio: un silenzio che sa di sonno e di attesa; evento più che onirico, metafisico. Un vecchio e un cane personificano la quiete, risolta poi in prospettive multiple e suggestive. Mei quadro « La modella » un vecchio pittore, con aria allucinata e illuminata, sta disegnando una mano scheletrita mentre, dal fondo buio, emerge l'immagine d'uno scheletro. La modella è qui la morte; ma Verdirosi la rende viva attraverso la luce che si fissa sul volto e sulla mano dello stesso pittore, colto nell'attimo in cui da vita ad una vita che fu o che potrebbe essere. L'artista ha pensato fantasticando e si è servito di una tecnica consumata per dare rilievo a una pittura accesa, una pittura che si fa metamorfosi di alcune realtà, collocate sia in fondo all'inconscio che nella superficie luminosa della coscienza. Dunque, pittura poetante e ricerca del segreto nascosto in una misteriosa zone dell'Essere. « L'uomo •• è invece un quadro fascinoso e affascinante come può esserlo uno specchio, che sembra fatto soltanto di aria e di luce.
C'è qui un incontro e una sorpresa. Finalmente l'uomo ha scoperto se stesso e prova un'antica meraviglia proprio perché il lume di una lanterna (quella dell'eterno Diogene) accorcia le distanze colorate fra i due uomini, invecchiati in una identità sconvolgente.
In tal modo possiamo dire che l'arte di Umberto Verdirosi, sia essa pittura, scultura, poesia o teatro, può essere giudicata nell'ambito di un espressionismo che ha il suo centro in una lirica e plastica visione della vita, visitata dall'interno con una inventività costante e una presenza della forma nella sua essenzialità. In essa si fa viva una qualità che è magia e dramma; simbolo significante e allegoria risolta sia in senso fantastico che metafisico. Vi è insomma la ricomposizione di un mondo onirico con sfondi decisamente poetici, mai descrittivi, ma ricreanti un'atmosfera che vive e vibra per far corpo, con immagini icastiche, evocatrici, dense di umanità. Personaggi e figure dominanti sono: una lunga sciarpa rossa; porte spalancate su un altrove che può essere l'infinito o lo stesso mistero. Il volto di un « Vecchio » che gioca con la morte; un Arlecchino abbandonato sopra una cassa: emblema malinconico e pensoso di uno spettacolo di già consumato, ma presente e così caro alla vita interiore dell'attore Verdirosi. Vi è inoltre l'allucinante presenza della tela bianca; essa sembra suggerirci il riflesso appena accennato del pittore sotto il bagliore di una luce fredda ed estraniata; una luce a picco sulla presenza di oggetti assolutamente streganti.
Lo stesso Shakespeare, autore di stupendi sonetti, è sentito con quel senso tragico che fa emergere, in un cerchio di penombre e di improvvisi bagliori, l'uomo divorato dal « sospetto » ma sempre protetto da quell'ossessionante sciarpa mossa dal vento di una vagante disperazione. Lo stesso « Destino » si muove guidato dal braccio, teso in avanti, e che sembra indicare, coll'indice, ciò che ci trascende » e si muove, filamentoso e venato, sotto una lama gelida e deserta. Ma come ho accennato sopra, Verdirosi è anche uno scultore dotato di una potenza plastica tutta espressiva.
Il suo « Cristo » getta un urlo prolungato verso il Dio ormai lontano dal Golgota. Un volto di Gesù da ricordare, così dolorosamente solo nella sua rugosa agonia; così tragicamente maturo per la morte. Potenti i due schiavi incatenati, con le spalle rivolte alla pietà degli occhi che li contemplano e che scoprono in essi una evidente eredità michelangiolesca.
Nel panorama delle arti figurative, Verdirosi si presenta oggi come uno degli artisti più autentici: dotato di una estrosità costante, di uno spirito riflessivo, di una sensibilità sottile e di una intelligenza viva e costruttiva.
Osservando, con attenzione e amore, le sue opere ci si convince immediatamente di trovarsi davanti a un poeta che possiede non soltanto l'arte della parola, ma soprattutto il linguaggio del disegno e del colore; la forza plasmatrice della materia, destinata a farsi segno o voce dolorosa e dolente della bellezza scolpita. Un artista così genuino non può certamente entrare, almeno per ora, nei tetri annali (di certa « arte nuova ») compilati da gaglioffi travestiti da intellettuali, abili soltanto nell'arte dell'inganno, della mistificazione, del baratto e della truffa culturale e linguistica.
In Verdirosi, invece, la tradizione delle arti figurative è sentita e portata avanti come una necessità e, soprattutto, come una originalità conquistata, giorno dopo giorno, con una dose non indifferente di amore e di fantasia: facoltà e sentimenti che, attualmente sono quasi sempre volutamente ignorati.
Marino Piazzolla