Opere » su Luisa Taravella
Questa pittrice sente la necessità del rigore e un'ossessione lenta per ciò che diventa cosa estesa, colore, pulizia del grumo acrilico lasciato nello spazio a maturare le sue sfaccettature, le sue venature, i suoi rilievi. Sono quadri a due dimensioni e gentilmente si armonizzano con i muri bianchi, con le pareti solitarie, con le volte che fanno da chiusura allo spazio tridimensionale. Appesi a un angolo si possono scorgere lamine lucenti come fossero trucioli metallici, ritagli di acciaio che piovano da un luogo non ben precisato. E su ogni quadro un cono di colori, piccolo sole che traduce la luce in colore e illumina la superficie come un frammento di arcobaleno divenuto anch'esso metallico.
Luisa Taravella trasforma il quadro in una specie di veranda o di finestra che da sull'infinito. E cosi l'occhio incontra lo spazio dipinto come seconda dimensione. La prospettiva, questa illusione ottica, è abolita per sempre. In tal modo i pochi oggetti, tubi, lavagnine quadrangolari, lame attorcigliate, minuscole colline di colore si trovano distribuiti in un ordine che è anche riposo, calma degli occhi. Poche le ombre, quasi assente la natura, nessuna immagine che non sia un po' di vuoto colorato o il deserto che Intuiamo prigioniero in un cristallo. Si tratta di una pittura concettualizzata al massimo e che presenta le prime vocali di un abbecedario del rigore, dell'ascetismo, della rinunzia intesi come momenti critici della vita e dell'arte, in questo caso della pittura.
Nel suo decoroso e dimesso silenzio, la pittura di Luisa Taravella non aggredisce, non giuoca, non fa sfoggio di simboli misteriosi, né ci prospetta oscure metamorfosi. Essa è lo specchio di una direzione mentale verso ciò che è sobrio, lucente e certo. La certezza del pendolo e della gravita del numero e dello spazio a piombo, del giorno e della notte.
Si può anzi dire che il simbolo si è spogliato per farsi elemento; che la metamorfosi si è fatta luce e che l'immagine si è dissolta nello spazio. E in questa zona serena ci sembra di attendere l'evo nuovo, l'era degli squilli esatti e dei luoghi dì precisione dove la mente ha già assorbite le pulsazioni del cuore e ciò che di onirico sopravvive nell'uomo si è fatto idea, bianca idea.
Ma in questi quadri, che hanno una loro segreta eleganza e dove il mondo comincia a vibrare in una goccia d'acqua o nel frammento appena accennato dell'Iride, si sente già la presenza di un'aria distillata dall'ansia di recuperare la verginità dell'originario e quella inquietudine placata che si addice, quasi sempre, all'artista moderno.
Marino Piazzolla