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Rapsodia in minore per Albino Pierro poeta
da "Filologia antica e moderna" 3,1992
Università degli studi della Calabria, Dipartimento di Filologia
La Rapsodia in minore per Albino Pierro poeta, di Marino Piazzolla, costituisce un'alta testimonianza dell'amicizia e dell'ammirazione che poeti e scrittori, beninteso della statura anche morale di un Betocchi o un Pizzuto, hanno manifestato nei confronti del grande poeta tursitano. Piazzolla, morto poco più che settantenne nel 1985, è stato un notevole poeta bilingue, in italiano e in francese.
La sua lettura simpatetica di Pierro si spiega tuttavia piuttosto con la ricerca figurativa da lui condotta in parallelo a quella poetica su un orizzonte naturalmente europeo e con la sua capacità di scoprire dentro l'assoluta libertà della più audace invenzione formale le tracce di un'antichità esotica, sorprendentemente prossima e inquietante. Chissà se ogni interpretazione non si riduca in ultima istanza a uno scambio rituale.
N. M.
Rapsodia in minore per Albino Pierro poeta
La terra lasciata indietro
Ha la voce del vento:
È terra che si fa cielo una sera
Sul bianco della criniera;
È filo di luce negli occhi
O volo di colombi.
Sai che l'infanzia chiama
Ed è tutta un paese:
Nuvola di gigli
Tra uccelli di fuoco
Volati dal sole, all'istante.
Il Sud che tu ricordi
È il buio d'una grotta
L'ortica tinta di viola
A un'ora della vita.
Sul tuo paese giace
II ciuffo di stelle ingenue
Tace il fantasma dei vetri
Quando scotta la notte
E irrompe l'urlo del fornaio.
Sovente è la luna a chiamarti
E te ne vai laggiù
A respirare coi fili
Dell'erba intatta.
Laggiù rintracci
II fanciullo che scotta
Nell'aria dei giucchi
E riscopri la calce
Le macchie del cielo
L'ombra che fanno le case
Quando suona il sole
All'arpa dei suoi raggi.
Quant'alberi fratelli
Sanno del tuo fantasma
E pregano con le foglie:
Celebrano il mattutino.
Chi vive coll'ombra
E sa che il suo silenzio
È soltanto pazienza,
Torna dove il silenzio
È il moto d'un fiore
O il nero d'una porta.
Il fanciullo che fosti
Ha l'abito a colori.
Chiuso nel giorno di festa
Palpita coll'aria
Perché la madre è là
Seduta sull'uscio grigio,
Più fata che madre.
Tu ricordi e tocchi la notte
Spingi col dito il colombo
Che va dall'occhio a una stella.
Sai che il roseto è secco
E odori per te la luna
Perché si faccia camelia
Per il tuo sonno d'ingenuo.
Chi suona è una chitarra
Secca nel vicolo socchiuso
E si stacca dal suono
Una fanciulla che amasti,
Stordito da una campana.
Il tempo è il tuo paese
E qui riposi tra gli uccelli
Riposi coll'ombra dell'erba
E ascolti il grillo
Che ti fu compagno
Per dirti che sei vivo.
So che ricordi i muri
Del vecchio cimitero
E ascolti piangere gli armadi
Nel vuoto d'una casa
Che fu luogo di sogni.
Ascolti l'aria accovacciata
Sui cespugli e palpiti
Col primo fiorire della sera
Apparsa col belato d'una capra.
Vivere altrove
È anche tornare al paese
Intatto in una bolla.
Qui giuoca l'iride
II tremolio d'un lume
II dolce stare d'un balcone
All'ora in cui la notte notte
È un urlo dell'aria
Ed ogni muro
Offre la calce alla luna:
Ed è muro che soffre.
Il Sud ha tante rughe
Alberi che buttano sangue
E pietre come lamenti
Da popolare il tempo.
Ricordi le piazze accese
E l'odore di menta
La macchia del pettirosso
Sul rantolo del rospo.
Ricordi il vento sui cenci
E tocchi l'ombra
Come si tocca la madre
Che non è più. Al paese
C'è la tristezza volata
Dal cuore che non sa
Al colore celeste
Che ospita il Dio solo.
La vita è pietra e cenere
E tu lo sai; ti cerchi
Dove l'occhio ritorna a volare
E si fa un nido
Sui fili di paglia che il sole
Incrocia sulla luce.
La poesia è sempre
Un'ala ferita e ci accompagna
Per non smarrirci.
Tu sai quando ritorna
Nei cicli segreti,
E ti basta la penna
Per salpare dal cuore
Ai luoghi della tua terra.
Il Sud è una piaga
Con ciuffi di merli
E croste come chitarre.
Il Sud è un grano
Di calce che s'alza
Lungo i muri del sole.
Ricordi la mosca
Sul morto di profilo
E gli specchi unti
I letti appassiti
Nel buio che suona
E si fa cicatrice.
II Sud è tuo
Per tutta l'aria che piange
Sul petto degli uccelli feriti
E negli occhi dei fanciulli
Impiccati alla luce.
Il Sud è uno straccio
Che si fa ricordare
Per i tufi accesi di lebbra
Per le cicale intente
A pestare l'aria di calce
Per le stradine sghembe
Fino al raglio del ciuco.
Ricordi i balconi accesi
Di verdi foglie e insegui
II fischio del fornaio
Uscito nero dal mattutino.
Ricordi gli ulivi crocifissi
E i vecchi appesi al sole
Col tanfo delle tasche
E il rantolo dei bronchi.
Quanti morti fanno
Da pietre pazienti
Ai nostri paesi avviliti
E il tempo che si fa ruggine
Sull'erba al primo tocco
D'una vecchia campana.
Tu ricordi i merletti e le rose
E sai che deserta è una finestra
Sai che alle contrade
Ogni ciuffo di ortica
Nasconde un orco;
Tutte le fasi del meriggio
Sanno il colore del cielo
Fermo negli occhi
Come una macchia
Del Dio dimenticato.
Tu ricordi e cammini
Tra gli echi degli armadi
Appassiti nei tonfi dei portoni
E ti saluti per essere vivo
Come è viva ogni sera.
Ti ricordi e vai nel senso
Dei giorni finiti
Felice di udire il fanciullo
Che ti lasciò per essere
Innocente sulle cime
O negli orti che fanno
Della terra uno squillo.
Tutto quello che sei
Lo devi ai giucchi del sole
E al sibilo del vento
Contro le foglie impazzite:
Le foglie posate nell'aria
Dove tua madre passava
Coll'eco della tua voce
Caduta sullo scialle.
La luna che vedi
È rustica macchia d'aria:
Una luna ossuta
Fiorita al sommo del colle
Dove la sera calava
Col tonfo lieve d'un velo
Mentre alle frasche
Tornava il chiù per fare
Mesta l'ora di notte.
Chi suona è un cieco
Sull'umido sasso nella via
Che porta ai fossi
Dove bolle l'acqua piovana
E torna a brillare una nube.
Paese è la tua memoria
E ti fai muto:
Fantasma gentile di te stesso
All'ora in cui dal cuore
Evade la vita:
Unico suono d'arpa
Che t'accompagna e sa.
Anch'io ricordo
II gatto-mammone e il trillo
Del passero cieco
Unto di cielo,
Canoro nella gabbia
Che faceva lieta la via
Che porta ai primi prati
Pieni di schegge e specchietti.
Ricordo e brucio
Con l'ombra che si distacca
E muore nella voce
Ad ogni stagione andata.
Un giorno ritorneremo
E nostra sarà la morte
La morte che si ripete
Ad ogni tramonto
Ti tocchi una ruga
E appare la domenica
Nitida sul cortile.
Chi ti saluta è il gallo
Chiuso nel grumo di piume
Dove squilla il mattino.
Chi ti saluta è il fumo
Quando il vespro suona
Per l'aria o nelle vie.
E la pace si stacca da un'ape:
Ti cerca per farti colomba.
Quanti giorni vuoti
Ti fanno l'eco
Perché pieno resti il giorno
Che fu del tuo primo
Contare le grotte e le foglie:
La porpora fiorita
Sui vigneti d'autunno.
Tornare indietro è vita
Udire il mandolino o una fontana
È dirsi appena: una volta!
Come tutto questo si fa straziov
E completa il vivere
Ti colloca tra i lumi
Che furono sempre accesi.
E porta in cima una croce:
Mite segno del nostro
Umano apparire:
Figli sconfitti dal dolore.