Opere » I vincitori della Penna d'Oro: Profilo di emilio Cecchi
da "LA FIERA LETTERARIA", 19/2/1961
Il prosatore
Pur costantemente incline alla esigenza di rendere originale ogni intuizione, Cecchi non si abbandona mai all'estetismo, non si lascia mai sorprendere dall'artificio; e misura l'effetto stilistico fino all'estremo limite, come fosse preso dal profondo dovere di rispettare le esigenze del tempo: dare cioè alla frase una durata ed una giustificazione.
E quando il paesaggio o il personaggio che lo colpisce si fanno invadenti, quando la vicenda lo assale attraverso tutti i sensi, egli provoca la fantasia, allieta la descrizione con suoni e figure che emergo-no da una lontananza spirituale con un tono che appartiene sia alla parola che al pensiero.
Egli può scrivere su tutto; esplora il fondo vario di un continente come i segreti di un libro per scoprirvi l'essenza: per indicarci, con un lessico modulato, la sua qualità. Ogni frase, allora, risulta inventata; ogni immagine è l'espressione di una ritrovata realtà; tutti gli umori e le cadenze scaturiscono da una disposizione dell'intelligenza critica e dalla intensità dell'istinto poetico; come se in lui fosse desta sia una facoltà critica che una facoltà medianica. Ecco le ragioni genuine che rendono il suo stile teso, contratto, animato da un allarme logico e da un'alta tonalità lirica.
Emilio Cecchi è uno scrittore tipicamente italiano, se si fa eccezione di certa segreta ironia: quell'arte delle sfumature che è degli anglosassoni. Sa dove dosare il tono elegiaco e dove accendere quello ironico e fantastico. Prolunga l'idillio nella favola e corregge il sentimento con un controllo logico. Se evoca paesi lontani, figure di donne, personaggi della fanciullezza, oggetti reali o dipinti, non si abbandona mai a riferimenti banali. La sua prosa tocca sempre l'esenziale; vibra cioè, in uno spazio che accoglie solo ciò che si rivela con familiarità e ciò che propende all'enigma in un tempo che trascina con sé l'onda di un sentimento assoluto. E anche quando lo scrittore sembra che indugi sulle cose quasi insignificanti, in verità scopre quei rapporti profondi e complessi che legano le immagini a tutta la vita.
L'opera critica
Se con la prosa Emilio Cecchi ha contribuito ad arricchire di nuove possibilità sintattiche ed espressive la lingua italiana, nel campo della critica ha dimostrato di filtrare gli elementi di un libro come si filtrano gli elementi di un paesaggio o di un personaggio.
Infatti, al culmine di una lettura attenta, fatta con rigorosa pazienza e con spirito duttile, Cecchi colloca il suo cauto giudizio critico, senza pertanto dedurre da una teoria estetica congegnata a priori quegli elementi di valutazione che, in sostanza, invitano il critico a capire in modo più profondo, anche se meno dottrinario, l'autentica poetica di uno scrittore e di un poeta.
Questa condizione di elevato ed intelligente liberalismo estetico, che può sembrare un limite, si è invece mostrata efficacissima proprio sul piano della obiettività del giudizio; ed ha permesso al critico la invenzione, saggio per saggio, di un linguaggio aderente alla sostanza ed allo stile di una opera d'arte; un giudicare per impressioni vere e meditazioni, senza mai cadere nel formulano dogmatico dei critici legati direttamente ed indirettamente ad una ideologia.
E c'è qui da credere che Cecchi, contrariamente a ciò che ha fatto per la critica letteraria Benedetto Croce, ha certamente considerato più che l'autonomia dell'arte, ciò che lo avrebbe legato alla teoria dei distinti, la concreta complessività dell'arte intesa come atto dello spirito. E non si tratta qui di sfumatura filosofica, ma di una reale apertura verso una intelligente comprensione di tutte le arti, e in particolar modo di quella fenomenologia d'uno o più stili in cui si matura, in modo genuino, la genesi della creazione.
Arriva all'estetica forse attraverso Leibniz e Bergson; ha cioè come zona autentica di indagine critica quelle forze segrete - percezioni ed intuizioni - che rivelano la irrepetibilità del fatto poetico. E Leibniz e Bergson non sono semplici presupposti filosofici di natura astrattamente spiritualistica, ma sono tangenti che hanno aiutato il critico a penetrare quella vaga inquietudine umana che si riscatterà, attraverso la poetica, in un determinato stile.
Il concetto dell'arte
L'arte è per Cecchi innanzitutto architettura, stile e invenzione intensa; e va perciò giudicata in virtù di questa sua natura, qualitativamente diversa dalle istanze ideologiche o storicistiche che sono d'or-dine pratico. L'arte è sì nella storia, ma ha una interna dialettica -piano della autenticità irrepetibile - e va giudicata con gli elementi espressivi che le sono propri. Il giudizio critico si muove mettendo in rilievo tutti i valori della forma; e, via via che si completa, dallo stile passa a capire l'intenzione, il mondo recondito di un poeta, fino a toccare quello slancio interno che è poi la storia di un autore, non riportabile a nessuna ragione ideologica.
Soltanto avendo una concezione qualitativa della creazione, Cecchi è riuscito, molto meglio degli altri critici, a individuare il valore artistico di una poesia, di un romanzo, di un quadro o di un paesaggio. Si può però obiettare che anche questo è un metodo, e, come tale, va inserito in un momento della cultura italiana ed europea. Ma c e metodo e metodo. Se un metodo deve avere come obiettivo la sistematica alterazione di un artista sol perché i contenuti e lo stile di questo artista non rispondono ai canoni ideologici coi quali si crede di poter giudicare ciò che ideologico non è, tale metodo è fondamentalmente errato.
Si veda a tal proposito il saggio critico del Cecchi sul Pascoli e quello di Croce sullo stesso poeta. Cecchi scopre la poesia del Pascoli, mentre Croce - costretto ad essere coerente alla sua estetica o al suo metodo critico molto discutibile - non soltanto la stronca, ma proprio nei giudizi in cui pare più incline all'indulgenza, non fa che ricalcare il giudizio precedentemente espresso sul Pascoli dal Cecchi.
E mentre il Croce, rimasto legato alla sua critica limitativa e, diciamolo pure, restrittiva, scrisse saggi esteticamente poco validi su Leopardi, Baudelaire, Rimbaud, Mallarmé, ilolderlin e su altri poeIti autentici, Cecchi, che non si è mai allontanato dalla originaria sapienza letteraria ereditata con amore, gusto ed equilibrio da Leopardi e dai saggisti inglesi, organizzò il suo lavoro di scrittore e di critico su idee suggerite da una cautela esemplare e da un positiva precauzione, frutto, questa, di una profonda e varia esperienza di artista, di uomo e di studioso. E si può senz'altro aggiungere che l'assenza in Cecchi di un'estetica aprioristica come quella del Croce, costituì e costituisce ancora oggi il segno di una apertura umana e spirituale verso le possibilità più valide non soltanto della letteratura, ma di tutte le arti le quali, sempre, rendono memorabile qualsiasi civiltà.