Opere » Luce e rimorso del grigio dolore
da Il Giornale d'Italia, 6 Novembre 1997
1
Abbattere quest'albero bisogna
disse una voce, esatta come un assioma.
E l'albero abbattuto fu.
Ora avvertire si può, la sera
un grido nell'aria.
Le sue foglie formavano un vivo coro
che la terra lacerava colle sue radici,
quasi fossero donne a lutto
capaci di lanciare verso Dio
le loro voci viventi. Voci di lamento,
lamento per l'albero andato.
2
E' stata lanciata la pietra
che era al suo posto, immobile.
E' stata lanciata contro un uomo
venuto da lontano, con uno strano viso.
Quest'uomo è morto, la fronte bucata.
La pietra è ricaduta a terra e lì
resterà per sempre, senza rimorsi,
come prima. Ma essa sentirà,
al suo centro, un diverso dolore.
In vece di un grigio silenzio.
3
Perché meglio canti, hanno cavato gli occhi
dell'uccello verso di loro arrivato,
dai fini colori, fin sulla gola.
Ora come un angelo canta,
il piccolo prigioniero dagli occhi cavati.
Niente e nessuno qui ascoltano.
E solo resta, col suo canto e il suo dolore.
4
Per rendere meno pericolosa la rosa rossa
ucciso hanno l'ape, nel mezzo della corolla.
L'hanno semplicemente finita con una
aguzza spina, dal gambo staccata.
Il dolce mormorio mai più ascolterà l'orecchio,
che, con amore profondo,
l'ape dedicava alla rosa.
5
Una verde foglia hanno staccato dal ramo.
Quand'era innanzi alla vasta luce
a una manina di bimbo somigliava.
Una goccia di latte pendeva
alla soglia della sua estremità.
Unica bianca lacrima d'una foglia
morta tra le nostre mani.
6
Altrove ha la sua ombra
la nostra solitudine. Oh, e lancia,
con tutto quello che v'è lassù
una eco magica
all'attente orecchie. Per gli altri
e per noi sono i battiti del cuore.
Ad una porta chiusa spesso bussano.
La porta che per sempre si tiene
i nostri spenti pensieri.
7
Di rugiada ha bisogno l'uomo quand'è solo.
Quasi fosse un filo di erba secca.
Avere per un attimo una goccia d'acqua
è sufficiente affinchè l'amore si desti,
lasciando a noi tutti, la coltre bianca
intorno alla terra.
8
Giunto era il cigno fino al bordo del lago.
Ancora non cantava: là era, immobile,
quasi fosse un candido fiocco di neve.
Muto lo fissava il negro. Forse trovava curioso
il bianco colore del cigno e la sua testa nera.
Allora l'animale lo fissò diritto negli occhi.
Per lui felice cantò, senza attendere la morte.
9
Lasciatosi il ramo prendere dal sonno,
la cicala taceva.
Egli s'era dato fino alla fine del giorno
ed era già il crepuscolo.
Restare in piedi desiderava semplicemente,
dormendo senza udire nell'aria gioiosa
il grigio e monotono canto della cicala.
Dalla luce e pigrizia catturata.
10
Sanguinava come una piccola nuvola sulla terra
l'agnello a cui hanno dato la morte.
Tolto dalla madre, dall'umano profilo
e con una dolcezza nello sguardo.
Ed ella l'ha invocato correndo, quasi fosse
qualcuno andato via senza dirsi addio.
Mentre il figlio perdeva il sangue,
ella comprese. Di dolore stramazzò al suolo,
lasciando lacrime d'accoramento nell'erba.
11
S'invola la farfalla, e l'aria fresca
appena appena la sostiene. Di qua e di là
la porterà il vento, fiore dai vivi colori
staccata dal suo gambo. Ma una mano
arida l'acchiapperà: le sue ali
morta bellezza diverranno: magnificenza
di un cristallo che non ha padroni.
12
Tramonta il sole in un lago di sangue.
Luce ci fu in cielo per tutti.
Ma ora sul mare v'è una rossa schiuma.
Domani verrà l'aurora. Lentamente in lui
sorgerà l'amore, in nuovo candore.
Per l'uomo, al crepuscolo,
altro è il destino: perderà il suo sangue
e non avrà più alba.
13
In una parola il mio segreto. Dolce e prigioniera,
dalle nuove sillabe cullata, sfuggita al mistero,
là risiede l'anima. Dove, dove trovare dunque
il mio dolore di uomo? E' da Dio che giunge
la parola. All'esiliato poeta Egli sussurra:
Io sono il tuo grido. Io sono il tuo addio.