Opere » Lo strappo
intervento critico di Giacinto Spagnoletti
[...] È nella sofferenza del richiamo, ora più ora meno concreto, che si misura l'intensità della voce di Piazzolla. Il senso della morte invece che attutire in lui le facoltà « visive», le ha potenziate. E altrettanto direi di quelle auditive, complessivamente sensoriali.
Piazzolla sta « dentro » le persone che gli sono state vicine tanti anni, e ne percepisce il fiato, ne accarezza la voce, persuaso che la propria sarà di gran lunga meno capace di rispondere. Ma, si tratta, è chiaro, di un'illusione che la poesia gli lascia. La propria voce comprende quella degli altri, a cui egli si sforza di rapire il segreto.
Ecco perché de « Lo Strappo» il meno che si possa dire è che rappresenti un punto culminante nel lungo cammino della lirica intcriore dell'ultimo cinquantennio. [...]
Giacinto Spagnoletti
da Lo Strappo
Te ne andasti e fu la luce
a farsi bellezza quieta
sul tuo viso di cera definitiva.
E mentre il silenzio fu soltanto tuo,
io ero altrove a immaginarti
con tutto il sole ad abbagliarmi
quasi a cullare insensato i raggi
nel mio dolore per te.
E in quell'istante bianco
sentivo la tua morte distante,
col petto vuoto sia del mio
che del tuo cuore trafitto.
Fu un attimo...
smarrito vidi tante cose fuggire
da me. Finanche un volo di colombo
in alto e al centro dell' aria
portarsi via
un lembo dell'ombra tua, appena
distesa alle mie spalle curve:
come un presentimento atroce
della tua morte.
Fu in alto che il cielo,
tante volte nostro,
fu macchia scura per gli occhi.
Di già io non sapevo a chi parlare
della tua scomparsa, amore.
VI
Tu di là ma viva col tremore
fra le tue dita sottili
e gli occhi neri di tempo dove
ti viene incontro uno specchio
che a me dona il tuo volto
così distante e mai
preciso quando è il sogno
a riportarti a galla
da un vortice di luce nera
interamente mia.
Non posso che averti un po' vicina
quando è la calda notte
e farti emergere come tu fosti.
Così ti fai sgomento, amore mai;
nasci proprio da me
benché tu esista in uno spazio
tanto diverso dal mio.
Pur vecchi tra fili bianchi, noi distaccati
con visi deformati, ma sempre nostri,
noi c'incontriamo
tu col tuo abisso profondo più
del mio, al centro d'un sonno
duro. Non è l'amore
a legarci, ma il freddo
dell'età cresciuta lentamente.
E non serve a nessuno di noi due
ricordarci al buio fantasmi soli.
Siamo da tempo naufraghi vivi
ma come se fossimo già morti.
Prima della soglia oscura 1976-83
Stasera
i compagni di strada
sono semplici nomi
che incontro, stampati
nell'aria grigia della mia vecchiaia.
Come poeta dicon che sono vecchio,
immagini d'altri tempi
ho deposto in versi antichi
per farmi perdonare la mia presenza
d'uomo che ha scelto verità e bellezza.
Da me non c’è l'ospizio
di parole baldracche, né l'uso
disumano del sentire le cose
senza il consenso del cuore.
Ho scelto la libertà d'essere
l'ultimo dei poeti non di moda,
senza l'onere di servire, da sciocco,
le vuote e sempre stupide ideologie.
Ho servito l'uomo e ciò che è in lui
a me anche appartiene: la
giovinezza, la gioia, l'amore, tutta la vita
nuda di menzogne.
L'acqua freschezza semina
e gli occhi sciacqua, stamane.
Sarò...
Sarò fumo di neve
squame d'oro sull'ape
o fulmine con rami
appesi a un tuono
di me più festeggiato.
Sarò vena di vento
o controcanto
d'un'eco fra due rocce:
fiore di fuoco sarò
ma al centro d'un addio.
Non mi vedrà la luce
anch'essa cieca
dopo che il sole sarà morto
ai limiti d'un monte
chiamato notte.
Sarò tronco contorto
d'un ulivo scolpito
e subito lasciato alle sue palme
perché il vento le smuova
colme del rosso acceso dalla sera.
Diranno di me che fui scontroso amante
della mia ombra,
morta già prima che nascessi
sconfitto dalla vita.