Studi » Giuseppe Lago: Esegesi psichica delle Lettere della sposa demente
Della "sposa demente" sappiamo alcuni dettagli nel prologo. Sappiamo che vive nel suo villaggio delle Fiandre "ormai fuori del tempo", "come in un sogno", senza "sapere gli anni", senza l'amore di nessuno, con l'illusione totale di un matrimonio, contratto "quasi in sogno", con un uomo che "se ne andò lontano", lasciandola madre "felice di qualcuna che non c'era...".
La sposa è pazza, quindi, per l'inconsistenza dei suoi vissuti confrontati con la concretezza dei fatti reali cui si riferiscono.
Leggendo il I Tempo, ci accorgiamo però che la pazzia della donna è solo il frutto dell'esasperazione dei suoi sentimenti, dei suoi affetti potenti che ne scombussolano l'esistenza.
Non è quindi pazza che a una visione superficiale; non lo è certamente per lo psichiatra esperto che sa passare dal piano comportamentale o manifesto a quello più intimo e introspettivo, e sa dosare adeguatamente la visione formale del fenomenologo e l'intuito dello psicoterapeuta.
La sposa è forse muta ed estatica ma vibrante e sensitiva, impegnata in un sentire che trabocca e investe lei stessa, incapace di modulare i toni di una passione monotematica fino all'assurdo per l'uomo lontano e sordo ai suoi richiami.
"Non so perché scrivo il tuo nome
Sui libri: disegno
Il tuo volto
Appena mi trovo sola
O incomincia a suonare
Altrove una musica nota", (p. 16)
Isolata nel suo habitat, la sposa è tutt'altro che depressa e rassegnata. Non c'è niente che le faccia presumere il ritorno di colui ch'è in cima ai suoi pensieri, ma tanto basta, appunto il pensiero, perché dal nulla spunti un rigoglio di speranza e con esso il calore di una certezza che, prima di essere certezza dell'altro è certezza di sé.
"Pensandoti così
Io sento che rinasco
Forse m'allungo lieve come l'aria
Fino alle prime stelle", (ivi)
La consapevolezza si estende alla condizione umana che è vista sussistere solo in funzione del sentimento e della dedizione a qualcuno, in modo che la vita ne riceva un senso.
"A volte mi sento smemorata:
Come fossi già morta.
Come ci muta amore
Da un giorno all'altro.
Così mi guidi, fai luce:
Sei già la vita in tutta la mia vita", (p. 17)
Il senso della vita è quindi la presenza dell'altro, intesa nel modo più essenziale, non oggettiva ma intima, eppure carica di influssi emotivi e coinvolgimenti reali.
"Se mi mancassi
Buio sarebbe il giorno
E più lunga la notte.
Tutta mi trema la voce
Se pronunzia il tuo nome", (p. 18)
L'amore della sposa demente è una metafora dell'essere; è una realtà umana che nasce da un apparente annichilimento dell'Io per dare alla persona una forza esente da ogni narcisismo, resistente ma fragile al tempo stesso, come gli affetti che animano il fondo dell'uomo.
"Ora che t'amo
Fino a sentirmi assente
Mi basta l'ombra
Che s'incurva fino a te", (p. 19)
Non c'è esaltazione né entusiasmo spasmodico nell'amore della sposa. Nonostante la consistenza degli affetti, si avverte una sorta di calda rassegnazione all'impossibilità di non amare. Il limite della dipendenza dall'altro, oggetto d'amore, non è ignorato dalla sposa. Ella, ancora una volta assai poco demente, si rende conto dell'ineluttabilità del suo destino che ne giustifica l'esistenza solo in unione con l'altro, la perdita del quale nel proprio intimo è il vero delirio.
"Talvolta penso di perderti
M'invade allora il delirio:
Il sole si spegne
Non odo nemmeno il mondo che mi chiama.
Io, muta, m'abbandono
Soltanto in una immensa oscurità", (p. 21)
Tuttavia, ogni tanto anche la sposa soffre nel sentirsi circondata solo di cose inanimate.
"Manchi tu solo
In tante cose mute
Che annunziano il tuo amore", (p. 23)
E' soltanto un attimo; poi ritorna a scrivere le sue lettere, parafrasi di una letteratura che cerca di fermare sui fogli scritti gli "abbagli" delle emozioni.
"Sento che il sole porta per il cielo
La mia felicità;
Poi mi rimetto a scrivere, in silenzio,
Fra tutta quella luce che m'abbaglia.", (p. 24)
Le emozioni, è chiaro, si riverberano nell'ambiente e trovano rispondenza nella natura che si "anima" delle passioni stesse della protagonista. L'animismo dei poeti, si sa, non è religione ma rappresentazione e gioco della fantasia, ribellione al concreto e al positivo, aspirazione a una fusione profonda con le proprie radici.
"Sono ritornata nell'orto
E l'erba m'ha salutata,
Piena di vento, anch'essa innamorata
Dal vecchio ciliegio,
Appena ha udito un fruscio,
la colomba è volata...", (p. 30)
La fantasia trasfigura anche i vissuti e rende possibili contatti che il concretismo troverebbe impossibili.
"Puntualmente,
Io tornerò da te, ma come un'eco,
Confusa forse al bianco della luna", (p. 31)
Ciò non toglie che una certa consapevolezza del proprio slancio produttivo che modifica e investe le cose, facendole palpitare come il suo cuore, consenta alla sposa riflessioni mature sulla natura effimera dell'amore.
"Giungono come squilli altri mattini
Ch'io rubo alla mia vita.
È solo un po' di tempo in cui prolungo
Quest'ora dolce che mi sembra eterna.
Amore, felice inganno,
Gioia dei giorni che non sono ancora", (p. 33)
Il I Tempo si conclude con la forza serena che lo ha attraversato interamente. L'amore non è solo anelito e slancio ma esigenza e qualità dell'essere.
L'amore della sposa niente affatto demente, adesso lo sappiamo, è la qualità che si oppone alla morte.
"Un tempo sarò vera come è vero
Il sole; come è vera la mia vita.
Sarò tranquilla innanzi agli occhi e tu
Mi reggerai coi figli, se verranno
A far lieta la casa, a cancellare
Tutte le mie illusioni. Ma già sento
Ch'una soltanto rimarrà fedele:
L'amore che mi scava e mi fa donna"
................
"S'io dovessi morire prima ancora
Che tu sia vecchio, sappi che la morte
Non spegnerà l'amore", (p. 34)
Il II Tempo si anima della presenza della figlia (...già cresciuta... alta come un pesco").
Il paesaggio solare del I Tempo è sostituito dai colori autunnali; il tono delle lettere della sposa si è fatto adesso malinconico e stanco. La fisionomia della donna, però, non ne esce sminuita. Tetragona al destino di solitudine e di attesa, ella accetta di vivere il tempo che introduce l'inverno, e si rifugia nell'ombra, nell'eco, nel sonno.
"Non pronunzio il tuo nome
Perché a distanza il vento ti chiami.
Qui c'è soltanto un'ombra ed è con me", (p. 36)
.................
"Mia figlia chiama e io non le rispondo.
Io voglio che s'abitui ad esser sola,
Come fai tu per me che non rispondi
E m'ami come un'eco", (p. 39)
.................
"Spesso lungo il giorno mi addormento
Con la fronte reclina alla finestra;
M'addormento soltanto per cercarti", (p. 40)
La figlia, testimonianza viva di un amore cantato e affidato a lettere che sembrano scritte in sogno, esprime ancora l'ingenuità che era della sposa-madre divenuta ormai attenta e riflessiva.
"Mia figlia è uscita e ancora non ritorna...
Stamane ella cantava una canzone
Imparata da me forse nel sonno.
E la stessa canzone che cantavo
Quando tu c'eri e non ti conoscevo", (p. 41)
La sposa, forte della passione maturata e mai rinnegata, ha acquisito l'esperienza di chi sa che i sogni più belli non sono legati all'incoscienza ma al sapere di se stessi e degli altri.
"Se mi vedessi in sogno,
Non dirlo che a te stesso.
Qualcuno che non vedi
Potrebbe dirti: è un sogno, non è vero;
E ti rimetteresti a non pensarmi", (ivi)
Ancora una volta non è la distanza che conta ma il pensiero che unisce e permette di riunire ciò che è separato.
"Se penso alla distanza
Che ancora ci separa,
Tanto più m'appartieni...", (p. 45)
La sposa pian piano si ritira e guarda con stupore la giovinezza sfumata e l'avvicendarsi del tempo che preannuncia un esito naturale per se stessa. La figlia volteggia invece nei balli e si accosta all'immagine del padre che non è più quella fissa del ritratto ma quella mobile e imprevedibile dell'incrollabile fantasia della madre.
"Intanto dal ritratto
Scomparsa è la tua immagine.
Vorrei che al ballo tu fossi con lei:
Anche se non ancora ti conosce", (p. 47)
Incrollabili, nonostante il lento declino, sono anche la speranza e la disposizione all'attesa.
"Non è vero che il tempo è dileguato,
Staremo ad aspettarti fino a quando
Tu continuerai a non tornare", (p. 54)
Il finale del II Tempo si caratterizza per una specie di illuminazione che coglie la protagonista. Come se, prima di andarsene a riposare per sempre sulla collina, la sposa riprendesse in sé la potenza del suo investimento diretto a colui che, sempre amato e atteso, è rimasto solo un sogno vagheggiato negli anni. Adesso la sposa sente che tanta potenza va ricondotta a se stessa.
"L'altro, sembra dire, ha la mia faccia forse è in lui che si specchiava il mio essere profondo".
"Talvolta ti sognavo
Con la mia stessa faccia;
Ma tu a posarti sui miei occhi, mai
Mai tu venivi.
Io ti cercavo lungo la mia luce,
Ed eri, così, la mia speranza.
Tu mi seguivi sempre lungo il giorno
E avevi la mia faccia", (p. 56)
Nel III Tempo, quando già la sposa dorme per sempre sulla collina, lo sposo vagabondo si fa sentire, testimonianza di un incontro impossibile.
"Sono anni che scrivi
E non ti sogno più...", (p. 59)
"Isolato nell'isola", lo sposo si lascia andare triste all'eco del ricordo. Nostalgico e disilluso, egli non possiede la carica vitale della sua donna e vede progressivamente affievolirsi il proprio sentimento il quale, consumandosi nel vissuto malinconico, si dissolve lasciando una scia azzurra tinta di rosso sangue.
"L'azzurro nuovo qui non è tornato
A rallegrare l'isola e i miei occhi", (p. 62)
.................
"Tu mi cancelli e sei più vera quando
Ti penso accanto come una straniera.
Si sciupa il volto che porto
Nel tuo addio d'ogni sera", (p. 63)
.................
"e prima che si fermi a me la vita
Voglio dirti che vivo nel tuo cuore
Come tu vivi adesso nel mio sangue.
E non ti dico addio, t'ho ritrovata!
Dal mare viene ormai la notte: è morte", (p. 71)
Giuseppe Lago