Studi » Intervista: da "POETI A ROMA", a cura di A. Frattini e M. Uffreduzzi, Bonacci Editore, Roma, 1983
Il mio fare poesia deriva essenzialmente dal pormi in rapporto con l'uomo, la natura e Dio che ritengo tre realtà trascendenti la mia persona. Più che nelle correnti artistiche, credo nelle opere che hanno una loro compiutezza sia storica che metastorica.
Tutto quello che di autentico un poeta riesce a rappresentare non lo attinge che dal "Sacro"; perciò l'arte che ha una maggiore durata storica ed un valore universale discende direttamente, o per vie misteriose, dalla trascendenza. Siamo nell'Essere e non possiamo evadere da questa totalità. Ho scelto la poesia lirica non per mia volontà, ma perché penso di essere stato scelto da un flusso misterioso che mi fa essere quel che sono in poesia.
Credo, comunque, che la poesia, per poter vivere di vita propria, necessiti, in primo luogo, di ritmo, di pathos, d'invenzione, di autenticità, di perfetta adeguazione del significante (parola) al significato (contenuto). Penso che dare troppa importanza alle correnti dell'arte sia un errore storico.
Quanto alle avanguardie, possono essere necessarie nella misura in cui mettono in moto la soggettività creativa. La storia della poesia non si lascia storicizzare. L'essenziale durata di una poesia nasce da un maggior approfondimento dell'Essere che il poeta compie nell'atto di fare poesia.
Per tale ragione Saffo, Leopardi o Baudelaire sono contemporanei. I grandi poeti di un'epoca storica non sono perciò funzionari passivi dello spirito dell'epoca, ma obbediscono, come afferma Hans Sedlmayr, direttamente all'Assoluto.