Opere » Un'acuta indagine critica di Gianni Nicoletti: La bellezza di Baudelaire
da "LA FIERA LETTERARIA", 23/4/1961
In nessun poeta moderno come in Baudelaire poetica e poesia si fondono in una unitaria visione della vita come arte e dell'arte come vita nella Bellezza. Ma quale fu, per questo poeta attento a tutte le scoperte del gusto, o della forma considerata in senso assoluto, la sorgente stessa della vita e della Bellezza? Gianni Nicoletti, nel suo acuto e dotto saggio Poesia in Baudelaire (Ca' Diedo Editore in Venezia) è riuscito a dimostrare che sia "Les Fleures du Mal" quanto "Les Petits poèmes en prose" sono il fiore di una fantasia perfetta in se. "Ciò che ci introduce abbastanza bene, mi sembra, a mostrare come tutto in Baudelaire sia Bellezza, - e la Bellezza il simbolo del suo tutto". Alla radice del poetare, dell'atto poetico per eccellenza, noi troviamo quella immaginazione creativa che per Baudelaire è "la reine des facultés... qui a enseigné à l'homme le sens morale de la couleur, du contour, du son et du parfum".
In Baudelaire, osserva il Nicoletti, "la Bellezza svincolata dai fini estrinseci diventa attività unificatrice, massima libertà: ovvero, l'universalità dell'io si concretizza come legislazione morale, siccome il gusto è atteggiamento originale e personale. Baudelaire realizza questa sua visione con il simbolo degli occhi, con il guardare: "tu contiens dans ton oeil le couchant et l'aurore". La Bellezza, perciò, contempla se stessa: guarda il mondo con i suoi occhi, che sono poi gli occhi antichi e sempre nuovi del poeta. Infatti: "Nulla c'è al di fuori del poeta, - non il dolore, non gli stracci, non le piaghe, non i vizi, non il male: tutto è poeta. Tutto è la sua coscienza, tutto èla sua esperienza. Baudelaire non riconosce bensì conosce, cioè nasce e vive insieme alla sua creatura".
Per questa via sarà sempre il poeta a illuminare gli oggetti con la forza della sua immaginazione creativa, la quale fa compiere al poeta Baudelaire "la rivoluzione copernicana della poesia moderna".
Soltanto la fantasia e un sotterraneo amore per la Bellezza spingono Baudelaire a rivivere, soltanto simbolicamente, le terribili cadute nel vizio. Il male, per questo poeta che ordina in ritmi solenni il suo dolore di uomo tramutandolo in gioia contemplativa, non scaturisce da una disarmonia oggettiva. Non è il male la lontananza assoluta e dualistica dal bene; esso è invece il riflesso di una coscienza che, attraverso la Bellezza, si è posta al di là del bene e del male. Come tutti i puri che apparentemente sembrano disgregarsi nell'attesa di un'esistenza adeguata alla propria purezza, Baudelaire divenne l'interprete armonioso di una colpa non commessa, ma di cui sentì la presenza fisica. Come i solitari, abituati ai penosi e consolanti soliloqui sul proprio destino in questo mondo, Baudelaire decifra poeticamente la nausea ed esprime sempre un desiderio di vita nella Bellezza. Come i più ricchi di castità originaria, sembra dire il Nicoletti, questo poeta partecipò idealmente a un'ingenua corruzione, salvandosi in virtù di una soccorrevole magia che gli sale dal cuore, ma soprattutto gli nasce da una immaginazione libera, e nello stesso tempo controllata dal rigore e dal gusto.
E nell'innocenza vigile della noia, Baudelaire non cessò mai di fissare la malinconica presenza della Bellezza. Inventò infatti suggestive penombre per collocarle su ciò che corre allo sfacelo. Si distendono, nel panorama di una bellezza umana e immota, donne che si accasciano nelle voluttà proibite; paesaggi che si annebbiano, pazienti vecchine, stordite da una forma di dimenticanza. In una costante ricezione visiva, olfattiva e auditiva, Baudelaire accolse i risultati dello stordimento terrestre e il male come un manicheo riapparso, sotto le spoglie di un sonnambulo delicatissimo, nell'epoca della lussuria più fluida e del culto per la Bellezza in sé. Sembra allora che i suoi scorci riecheggino una dannazione non del tutto scomparsa. E il poeta si aggrappa a se stesso, a quella esistenza che sembra senza salvezza, ma che in realtà è redenta dalla innocenza. Si direbbe che lo spirito di questo poeta sia quello di un masochista, candido per un eccesso di terrore infantile e che la sua sensualità si neghi ai processi normali della maturità. Pertanto, occorre dire che il suo cattolicesimo non fu dogmaticamente rigoroso. Perdute le esigenze moraleggianti, divenne attitudine estetica nella scelta del proprio destino. Baudelaire fu infatti cattolico fino a quando non giunse alla scoperta della Bellezza: occorreva cioè dimenticare, nella malinconia, quel rimorso che in lui era a volte pentimento di credente e, a volte, attitudine alla creazione poetica.
Si salvò dalla monotonia terribile dell'esistenza in virtù di un paziente lavoro di costruttore orfico. I suoi bassorilievi sono infatti mobili, pur rimanendo pregni di quell'atmosfera accidiosa di uno stanco amore, mai consumato fino in fondo. E non si sa se fu il vizio oggettivo a creare il suo genio angelico o se fu il rimorso di esser nato a proiettare fuori di sé la Bellezza. Nessuno fu più contemporaneo di lui d'una epoca matura per essere esaltata in una lingua armoniosa, in una forma adeguata ai paesaggi apollinei. Di qui il sorgere di certi ritmi, solenni come gli addii di una creatura in esilio, e le apparizioni irreali di una vita che, pure apparentemente in isfacelo, si immobilizzò nella Bellezza.
Baudelaire conobbe dunque tutti i segreti dell'ombra e della luce e non dimenticò mai che il sogno più vivo si realizza in un perpetuo dormiveglia dello spirito. Così poté liberamente, e con l'estrema disciplina del visionario consapevole, ordinare le sue donne dannate e i suoi tramonti gocciolanti angoscia sui muri appassiti della metro-poli. Ecco perché i suoi cieli sono lontani; in essi c e un senso di distanza, un'assenza~della banalità quotidiana. I suoi versi, architettati nella loro armoniosa solitudine, sono quasi permeati di sangue e di ricordi. Baudelaire, infatti, ebbe la esatta intuizione di ciò che il poeta rappresenta fra gli uomini; e non se ne rammaricò, predestinandosi, in tal modo, a comporre elegie per gli amori perduti, per le castità sepolte e per l'ordine proprio di tutte le utopie. Come uomo fu convinto di trovarsi nello stato di una spaventevole attesa; seppe cioè che l'unico rimedio stava nel costruirsi l'universo sempre aereo e plastico delle sillabe, in cui corre l'altra vita: il flusso della Bellezza. E arrivò alla consapevolezza di scavare nella propria lingua il suo vero paradiso.
Nacque così la sua poesia, mortificata soltanto dalla illusoria presenza del vizio e del dolore, ma rallegrata da una luce ferma. In tutta la sua poesia affiora la nostalgia cristiana in toni di serena musica, dove il senso della natura si scioglie nel gusto amaro di soffrire per tutte le creature.
Infatti, da questi fiori maledetti e dai suoi poemi in prosa si sprigiona un solo profumo: quello delle primavere non più umane, ma sommerse nel paradiso ritrovato della Bellezza. Baudelaire avverti inoltre l'abissale distanza fra quel che si è quaggiù e quel che si può o si potrebbe essere in un mondo che soltanto l'immaginazione o il sogno annunzia con l'accento disperato di chi lo rimpiange in uno stato quasi ineffabile. E egli non fu come Dante che tentò di sostituirsi a Dio. Amò invece rimanere suddito nel girone di terra. E volle disperarsi coi propri simili, accomunandosi ad essi fraternamente, offrendo loro il dono più alto della vita: la Bellezza.