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"L'almanacco strappato" di René Méjean

Casa Editrice Ceschina, 1974

 

dalla prefazione di Marino Piazzolla

« René Méjean, nato a Ganges (Hérault) il 21 ottobre 1904, in un paese di more giapponesi, di filande equipaggiate all'americana, di fontane oggi scomparse, di vigne e di giardini. Paesaggio montagnoso tagliato da riviere ».
« Risiede attualmente a Parigi. È insegnante, scrittore giornalista, cineasta. Dirige « La France Latine » e, in collaborazione con Emilio Bonnel, la Rivista di Lingua e Letteratura d'Oc. Ha creato e diretto la prima Rivista Parlata (Parigi 1936-1939 e 1945). Gran Premio Internazionale del Cinema (Locamo 1949) per il suo film « La Fattoria dei sette peccati ». Si tiene, secondo le sue stesse parole, a uguale distanza dalla poesia « perfetta », la quale non può pretendere che alla vita elementare del cristallo, e dalla poesia informale che insorge sempre per farfugliare il suo dire ».
René Méjean ha pubblicato opere di poesia in lingua francese e in lingua provenzale, fra cui: « Pastorale », « Il tempo chiaro », « Cantate », ecc. Il suo mondo poetico ha come sfondo ironico e, a volte, tragico, il tempo che, attraversando la vita, la rivela nei suoi aspetti più delicati e fantastici, fino a incidersi sul volto degli uomini e delle cose. Un mondo lirico, idillicamente provenzale alla sorgente, ma che si allarga e abbraccia il panorama sempre sorprendente e favoloso di una Parigi contratta, intera, nella poesia e nelle metamorfosi della bellezza.
Nel poemetto « Cantadisso » (Cantate) Méjean, ricollegandosi, per segreta magia, al mondo cantato dagli antichi trovatori, crea per noi uno spettacolo a sorpresa, poetico e tutto moderno. E ci affascina, di questo poeta attento e aereo, il suono delle sue parole, sostenute sempre dal senso delle immagini e delle idee, sapientemente collocate fra la luce, il colore e il ricordo.
E in questa luce, eternamente viva, lo stato lirico degli eventi si fissa come una imprevedibile scena di teatro animata da quei rari fantasmi che lo spirito, umanamente, evoca in un'ora celeste al di là del tempo.
« L'Almanacco strappato » — Premio MIETRAL 1972 — (Ed. «L'ASTRADO» 1971 — L'ESPARGANEU — LA FLEUR DU RHONE)  costituisce invece l'opera poetica della maturità e della interiorità direi quasi più misteriosa di René Méjean, arrivato a incidere nella lingua provenzale, e nella francese poi, la storia magica della parola e dell'anima. Muovendosi in una realtà arcana, ma linguisticamente limpida ed esatta, il poeta visita gli abissi del cosmo, convogliando le immagini più tragiche e più lievi verso una costante illuminazione metafisica. Egli ci racconta le vicende personali e del mondo con una potenza poetica oggi quasi rara.
In queste liriche, maturate attraverso una sapienza filologica, che è poi certezza e verità del dire e del creare, René Méjean recupera le idee, le emozioni, tutto il pathos di un pellegrinaggio che si proietta al di là della stessa vita e del tempo, per indicarci le luci e le ombre dentro uno scenario che non esclude né il Vietnam, né il Biafra, zone maledette e tragiche di una geografia impazzita.
La poesia francese d'oggi, su cui pesa da tempo la fredda alchimia di un intellettualismo arido e disumano, si arricchisce ormai di un'opera che, oltre a costituire un valore ontologico — sintesi di precise scoperte nel campo della meditazione poetica e del reale — esprime l'indicazione più vibrante di un viaggio nell'Essere e nell'apparenza.
Méjean si serve della poesia per donarci un messaggio che si fa monologo nostro ad ogni verso, ad ogni strofa: versi e strofe in cui si muovono immagini di una Superrealtà (non alludo affatto al « Surrealismo » che, in verità, è un sub-realismo) verso la quale umanamente ci muoviamo, militi disarmati della bellezza che fu e che dovrà venire.
In ogni poesia di questo « Almanacco strappato » non si sa quando e né da chi, vibrano e sono vivi i segni della rabbia gioiosa di chi si assenta dai miasmi terrestri, per ritrovarsi, libero nella riflessione, al centro del mistero. Vi è qui la morte che proietta, in un tempo che non è più defunto, il bianco dolore di sopravvivere, evocando l'amore e le stagioni indimenticabili di una terra meravigliosa.
Tutto, in questa raccolta, si muove come se nascesse per la prima volta innanzi agli occhi stupefatti di chi legge e impara, a sua volta, a rinascere attraverso la dolcezza del linguaggio: poesia, dunque, suggerita soltanto dal cuore che, inventando se stesso come dimensione dell'ineffabile, c'insegna a seguire le tracce di un Dio consolatore.