"Il Canto Tornante" di René Méjean
Edizioni
Fermenti, 1980
dalla
prefazione di Marino Piazzolla
René Méjean, oggi senz'altro il più originale fra i poeti di lingua provenzale, è, soprattutto nella sua struttura filologica e lirica, poeta europeo. Nuova e illuminante è in lui la ricerca costante di una favella universale, scaturita da un amore profondo per la parola esatta — fusione di significato e significante — e per uno stile sorretto da ritmi vari e concatenati da un sottofondo di meditazione, in cui la parola, cosa e silenzio, poeticamente liberi, s'impongono alla nostra sensibilità. Si tratta, comunque, di una libertà di fondo, una libertà che è l'essenza stessa di una visione ontologica sia della vita vivente che della vita poetante.
« Il Canto Tornante », ultima sua raccolta di poesie e poemetti, affascina il lettore sin dai suoi primi versi; e, per tale ragione, essa si colloca fra le opere più importanti della poesia europea d'oggi. S'io fossi criticamente disponibile come un tempo, dedicherei a questi canti uno studio particolareggiato, esprimerei, cioè, quel giudizio che essi meritano in quanto possiedono, nell'insieme, quelle qualità liriche (e anche apparentemente antiliriche) così rare in questo nostro tempo di cupi tentativi, fatti per imprigionare la poesia in un torrente d'imbecillità. Ma per quel che posso esprimere frammentariamente e con tante idee che mi girano nella mente, dirò subito che il « Canto Tornante » è senza alcun dubbio l'opera più poetica, più alta, più geniale che René Méjean abbia scritto fino ad oggi.
Innanzi tutto il poeta è riuscito (evento raro nel panorama della lirica d'oggi) a fondere, in una unità poetica: invenzione e parola; struttura e capacità meditativa; chiarezza e architettura; fluidità di stile nella collocazione delle immagini e un ritmo personalissimo. Si tratta, (come il lettore avrà modo di scoprire leggendo l'opera) di una storia liricamente vissuta ai confini della trasfigurazione della realtà (interiore ed esterna). Una storia in cui si decanta « con tutti i segreti del "magismo" », cioè « con quella dinamica tanto misteriosa che si aggiunge ad ogni attività spirituale » il destino dell'uomo e del poeta attenti ad ogni minimo mutamento delle cose e degli atti umani, in questa nostra era terribile e contraddittoria.
In quest'opera, in cui possiamo scoprire, come dice in una nota lo stesso poeta, che « la poesia è innanzi tutto conoscenza intuitiva per volontà di comprensione e di identificazione. Soppressione, per una specie di ascesi iniziatica, della distanza tra "soggetto" e "oggetto", e l'indimenticabile formula di Rimbaud "Io è un altro" (d'altronde preceduta dal grido perenne di Victor Hugo "Ma sì" insensato che crede che io non sono te) preso nel senso letterale e, come si dice, "al piede della lettera", "L'io" s'abolendo fino a divenire "l'altro" (essere o cosa) ». Méjean, perciò, si rivela autentico scopritore delle segrete metamorfosi che ridanno alla parola, alla immagine, al ritmo, al nitido disegno lirico quelle meravigliose vibrazioni per cui non sarebbe possibile la perfetta fusione tra bellezza e verità.
S'impone, sin dall'inizio, quella sua "biografia" così sobriamente scavata in un linguaggio che gli appartiene come le ossa, la pelle, il volto, il battito del sangue. Poi
torna, come una dolce e incancellabile ossessione, il motivo dominante, così profondo e fatale delle parole, senza le quali non esisterebbe il poeta. Le parole che hanno, come loro negativo, il silenzio: vita e morte al di qua di un dio che si allontana da noi sempre di più. Ed ecco la "Poesia" che cerca ansiosamente un altro sapere e c'induce a meditare, qui e ora, sulle leggi, terribili e arcane, del nostro vivere attraverso gli ineliminabili "come?, perché?". Il poemetto « Il Canto Tornante », invece, rappresenta, per la sua interna forza poetica, il suo bagno nella casta luce dell'alba e anche nella orribile ombra dell'antilirismo, costituito dal bollettino quotidiano degli umani orrori. Poema ricco di salti nel tempo e di contatti con una realtà sinistra che sempre più ci disumanizza e che il bagliore dell'ora mattutina riscatta, lava, purifica. Potenza del suo carme condurci a rivedere la vita in ogni istante: irreale e reale, nella dimensione del possibile e dell'impossibile. I versi del suo "Canto" costituiscono un inno perfetto e prolungato a tutti quei chiaroscuri incontrati, visti, contemplati dal nostro spirito incantato e anche stranamente ferito dalle fatali terrene contraddizioni. Di qui le due facce di un potere lirico e antilirico: l'ennesima riscoperta dell'alba abbagliante e dello sporco commercio che gli uomini deliberatamente scelgono come antidoto diabolico al tranquillo incantesimo della natura e del mistero.
[...]
Potrei continuare a parlare delle bellissime poesie « Per Amalrik » e di « Un'ultima volta l'Herault », ma rischierei di ripetermi. Méjean merita di più molto di più di un mio fugace giudizio. Egli è così umanamente rinchiuso in una poetica umiltà che ci rende pensosi su tutto ciò che scrive al cospetto di una realtà che follemente nega se stessa e la poesia.
Il suo libro è ormai fra le nostre mani, ma più ancora esso è passato dagli occhi all'anima e resta qui quale testimonianza d'una vita trascorsa a bearsi, con puntiglio e innocenza, nel regno indistruttibile delle parole. E le sue parole, già da tempo, attingono dal sole quella luce che difficilmente potrà dileguarsi nel panorama dei poeti, falsificatori della bellezza terrestre. Non mi resta che collocare in alto questo poeta e lodare, dal mio posto di modesto milite della pietà e della bellezza, la sua più che cinquantennale ricerca del sublime, nell'arte e nella vita. E questo libro, lo voglio confessare senza alcuna enfasi, è poeticamente stupendo: è il libro che Méjean ha cercato con quella sua saggia e luminosa modestia ovunque ci fosse, c'era o c'è da scoprire una ragione poetica per rivelarla agli uomini: dire che la poesia non potrà mai, giammai esser distrutta da quei barbari che già lanciano i loro urli di distruzione. Infatti, egli con profondità ci dice:
« In questa epoca, in questo mondo smarrito a causa del fallimento di tutte le ideologie, per lo smacco di ogni pianificazione, di ogni dirigismo, in un mondo dove tutti i reclutamenti (letterali, artistici, filosofici — senza
parlare delle tensioni sapientemente intrattenute dalle minacce di guerra civile, o locale, o internazionale) spingono a preservare nel suo desiderio di annientamento o di autodistruzione, mi occorrerebbe concepire e condurre una poesia nella quale la lirica più distaccata, più gratuita (se è vero che un tale distacco sia ancora possibile, ciò che non è affatto certo) sarebbe fatalmente portato a rivolgersi contro se stessa e a rinnegarsi.
A una chiesa, a una fede che si rinnegano corrisponderebbero dunque un diniego delle attività spirituali più gratuite?
Ma la poesia può essa rinnegarsi totalmente? Essa partecipa contemporaneamente a una forza segreta e ad un'innocenza fondamentale che — è del resto quello che io penso — le permette di sfuggire ad ogni imprecazione, a ogni trappola per rimbalzare e da se stessa riprendere slancio ».
Con il « Canto Tornante » Méjean si colloca fra i pochissimi poeti che oggi consolano l'Europa, così priva di vibrazioni sotterranee, ma già piena di angosciosi presentimenti di decadenza.
Il poeta ha lavorato col sole della sua Provenza ed è venuto alla luce, per lui e per noi, la poesia che ha sempre cercata con un amore che certamente è destinato a sopravvivere e a sopravviverci, quando noi stessi non saremo che ombre vaganti in un continente al quale auguriamo, con tutto il cuore, di essere sollevato da una nuova Rinascita.
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