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"Ballata per mille ombre" di Marino Piazzolla

Casa Editrice Canesi, 1965

 

dalla prefazione di Giuseppe Marotta

Marino Piazzolla è il poeta che ho scelto, il poeta che avrei voluto essere : attuale e remoto come l'onda mediterranea sui lidi per i quali batte il mio cuore da quando vi nacqui.
Ed eccomi con queste sue nuove poesie in mano, fanciullo riemerso dalle acque di Posillipo o della Gaiola, stringendo vivide conchiglie rubate al fondo.

Le sillabe nei libri
cantano a mezza voce.

Se il mondo ci logora è anche affinchè non tutto l'assurdo in cui sprofondiamo riesca a farci dimenticare che siamo uomini: dal buio di un'ora disperata, infatti, può talvolta sprizzare in noi, o accorrere a noi, la gentile violenza della poesia moderna.
Sì, il nostro tempo è iniquo, terribile. Nell'ombra di ogni minuto senza azione, l'amarezza è in agguato. Gli inganni si moltiplicano, travisandoci ai nostri occhi stessi, inacerbandosi e indebolendoci ogni momento di più, rendendoci incapaci della minima rivolta, soffocando i nostri gemiti.
Infuriano la stoltezza e la frode, il poeta resta solo
con le sue verità brucianti e bruciate. Ma:

Dio viene da lontano a visitarci.

Ed ecco, Piazzolla lo accoglie con queste poesie gonfie di ingenuo orgoglio (ma devoto perché vi pullulano i riferimenti alla Natura, alla Creazione, all'opera divina) e che sono anzitutto una proclamazione di innocenza. Vi ronza spesso la cadenza aspra e vellutata dell'ironia, senza la quale non c'è, forse, nella pagina scritta, una vera e grande arte.
Penso che Piazzolla abbia scritto questo libro per sé, dedicandolo alle sue frantumate illusioni, alle sue battaglie perdute, alla sua libertà crocifissa. Ma (Ho nella gola il dolore di tutti) il suo dolore è il nostro. Ogni strofa, in « Ballata per
mille ombre », è un reciso no all'antico imbroglio, quasi dico scippo, che definiamo « realtà attuale » ma che è invece una delittuosa invenzione di taluni uomini (un ceto, una minoranza) escogitata per inchiodare gli altri (i più numerosi e i più fragili) ai margini di ogni occasione.
Favola e beffa si amalgamano in « Ballata per mille ombre», alternando versi come:

Dividere in parti uguali
il mantello dell'aurora,

a versi come:

I vescovi dritti sui cannoni

e determinando una civilissima guerra di fantasmi zampillanti, svolati come raggi da un'immaginazione che fa subito pensare a certi ritmi di Mozart o alle visione caste e surreali di uno Chagall.
Si tratta di un libro magari sconcertante per le sue tenere o lesive infrazioni al rigore che macchinalmente, indolentemente, si attribuisce alla creazione poetica. Ma qui, in questi limpidi e solari apologhi, pieni di movimento e di colori, simili a balletti, è il contenuto a spezzare ogni vincolo, a situarsi in un assurdo apparente, quasi dico bifocale, in cui fremono simultaneamente la intrepidità dei sogni e il terrore di vivere. « Suoni l'albero l'inno all'usignuolo », o « Vendo tre gigli sognati da un'ape » fanno da contrappunto a «La vita è una fame di rocce » o a « Le mie vene hanno radici nel caos », e viceversa.
Una leggera, nobile allegria, variegata come un uccello esotico, ha costruito, portando gemme nel becco invece di pagliuzze, il suo nido nella cosciente lunga mestizia di Piazzolla.
Si è infranto lo specchio esistenziale del mondo, abbattuto dai ciechi pugni di un affranto prigioniero, ossia da Piazzolla adulto; e il Piazzolla fanciullo, tuttora sensibile agli incanti, alle trasfigurazioni di ogni « C'era una volta », gioca sorridendo con gli asimmetrici, ineguali frammenti: questo è il prodigio che avviene in « Ballata per mille ombre »... e un uomo (lui, Piazzolla) vi si ricompone intero, completo, felice e infelice quanto non può non essere chi la mattina apre anzitutto una finestra in sé.
Un'invettiva e un richiamo, la spada affilata dell'arcangelo biblico e la mano tesa del Cristo si contendono Piazzolla; e il risultato è, alla fine, di evidente misericordia.

Non fatemi questioni di « generi », o vado in collera. Questa poesia è inclassificabile, originale, senza agganci et niente e a nessuno. Canta, sogghigna, ferisce o medica, singhiozza o ride, evoca o preconizza alla propria inconfondibile forma; vi affiorano e splendono le ragioni di un connaturato umanismo, e basta.
Nella odierna monotona poesia, che sembra venire da un grammofono sul quale giri sempre un invariabile disco, Piazzolla è una voce singolare e viva, davvero unica.
Sul flusso di immagini talora pirotecniche, abbaglianti, ma sorgive, la nostra barchetta di lettori approda alle nude rive dei:

Se voi udiste, la notte,
l'urlo che strazia il mio sonno
avreste pietà della mia presenza...

e dei:

Se Dio vive
non lo sanno che i morti,
i ciuffi di morti come lucciole
di là dal buio di se stessi.

Che aggiungere? E' anche il mio paese quello sardonico e afflitto, commosso e irritato, festoso e malinconico, di Piazzolla; abitiamo nella medesima regione ideale, fra i medesimi orchi e le medesime fate e le medesime piante dai meravigliosi fiori carnivori.
Te beato, caro Marino, che puoi e sai scinderla, questa duplicità, in essenziale e pura musica.