Ho scritto arte e non pittura di Umberto Verdirosi per la ragione
precisa che egli è arrivato alla pittura, alla scultura, alla
poesia — per non parlare della sua grafica — attraverso quel suo amore
costante per il teatro. Artista, dunque, ma soprattutto creatore di un
suo mondo, dal quale traspare la fantasia e l'esigenza di unificare le
dimensioni dell'arte con una inventiva che stupisce. Si tratta qui di
quel « meraviglioso » di cui parla Breton, poeta e teorico
del Surrealismo.
Ho conosciuto Verdirosi nella sua casa studio, ma ignoro l'attore,
cioè l'interprete vivente della finzione teatrale.
Immagino, con certezza, che Verdirosi. avendo vissuto sulla scena il
doppio spettacolo dell'arte e della vita, si sia scoperto artista.
Dirò subito che questo artista è, senza dubbio, dotato di
una energia poetica personalissima, riscattata da una umanità
ricca di umori e di segreti amori per ciò che vive fra la
realtà e quell'impulso onirico che fa di lui un pittore
più che del Surreale, del Superreale.
Intanto posso dire di lui che è un pittore in cui coesistono le
componenti della poesia, della scultura, della finzione scenica e della
riflessione sul sentimento drammatico e plurisenso della stessa
esistenza.
Le sue interpretazioni grafiche (non semplici illustrazioni) dei
sonetti di Shakespeare. testimoniano quanto sia viva in lui l'esigenza
di umanizzare la finzione e anche di capire, in profondità,
quanto la stessa finzione conservi e riveli la umanità che si fa
storia e diversificazione.
Questo artista possiede una luce interiore popolata di fantasmi, e a
questi fantasmi egli da una vita propria, attraverso colori e sfondi in
contatto con una vibrazione delicata che si traduce in sorprendente
magia. La lettura attenta dei suoi dipinti e delle sue sculture,
infatti, ha tutta la malia della invenzione e dello stile, espressi in
modo nitido, pittoricamente validi per un giudizio critico unitario.
Le ragioni di tale pittura, che ha come sua essenza di fondo la morsa
esistenziale, possono anche essere ricercate in una condizione umana
che ha come coordinate costanti la solitudine, sofferta con amore e una
sommessa, troppo scandita inquietudine, davanti a una realtà che
va sempre più incenerendosi, ma che trova, nella invenzione
artistica, la sua epifania.
E qui, si profila il colore ineliminabile della forma, quale elemento
necessario per un adeguato giudizio estetico.
Kant, nella sua « Critica del giudizio », afferma una
verità che possiamo senz'altro considerare quasi come un
postulato. « Nella pittura, nella scultura, nella architettura,
in quanto sono arti belle, l'essenziale è il disegno (oggi,
alcuni critici dicono segno) in cui ogni affermazione del gusto non
riposa su ciò che alletta nella sensazione, ma su ciò che
piace semplicemente per la sua forma. I colori, che avvivano il
disegno, appartengono ali attrattiva; possono bensì rendere
grato l'oggetto per la sensazione, ma non farlo degno dell'intuizione
del bello ».
Ebbene, in Verdirosi, come in molti pittori del Rinascimento,
l'elemento figurativo che acquista valore d'arte, è appunto il
disegno colorato: cioè la creazione intesa come forma e non come
diletto dei sensi. La forma, come la intende Kant, è principio e
fine del giudizio critico-estetico di qualsiasi arte. Essa stimola la
fantasia; è l'essenza stessa della creatività, intesa
come simbolo, allegoria, ricostruzione del reale, collocato in una
dimensione fisica e metafisica. Si tratta, ben inteso, di un
irreale-concreto, proiettato, attraverso una originale figurazione
nelle dimensioni dello spazio e del tempo.
Nell'artista Verdirosi predomina difatti quella componente poetica che
colloca oggetti e personaggi, simboli e analogie, in una o più
dimensioni liberatorie. In tal modo, emerge una pittura sempre
configurabile nell'area dello stupore. Gli stessi titoli, del resto,
precisano la sorpresa pittorica e sono strettamente legati alle
immagini disegnate e poi dipinte. Significato e significante diventano,
in tal modo, una struttura pittorica unitaria.
« La Stiva », per esempio, oltre a darci la sensazione
della tridi-mensionalità, si presenta con una serie di simboli
sui quali predomina l'attesa: il pittore è appoggiato e assorto
sulle tele bianche, fra le quali appaiono, qua e là, i
personaggi, simboli che l'artista predilige e che attendono di essere
collocati nel loro luogo naturale, rappresentati, qui, dalle tele. Nel
dipinto dal titolo « L'Ambizione » il senso allegorico
è più evidente in quanto esso si traduce in satira. Il
fondo nero appunto sta a significare quel nulla in cui si annienta ogni
vicenda umana, degradata fino ad assumere le sembianze d'una maschera
vuota.
« L'Arlecchino sul Baule », più che una allegoria
è senz'altro una rappresentazione del mistero: un entrare e
uscire dalla vita, tenuta segretamente chiusa, come fosse un antico
poetico sogno d'un uomo, segnato dal dolore e liberato dalla stessa
finzione. Stupenda la prospettiva. Curvo su se stesso un Arlecchino che
attraversa, quasi angosciato, il passaggio dalla stessa finzione alla
rinascita esistenziale.
« Magia nello Studio » ha una sobrietà cromatica
sfaccettata, su cui domina una specie di silenzio: un silenzio che sa
di sonno e di attesa; evento più che onirico, metafisico. Un
vecchio e un cane personificano la quiete, risolta poi in prospettive
multiple e suggestive. Mei quadro « La modella » un vecchio
pittore, con aria allucinata e illuminata, sta disegnando una mano
scheletrita mentre, dal fondo buio, emerge l'immagine d'uno scheletro.
La modella è qui la morte; ma Verdirosi la rende viva attraverso
la luce che si fissa sul volto e sulla mano dello stesso pittore, colto
nell'attimo in cui da vita ad una vita che fu o che potrebbe essere.
L'artista ha pensato fantasticando e si è servito di una tecnica
consumata per dare rilievo a una pittura accesa, una pittura che si fa
metamorfosi di alcune realtà, collocate sia in fondo
all'inconscio che nella superficie luminosa della coscienza. Dunque,
pittura poetante e ricerca del segreto nascosto in una misteriosa zone
dell'Essere. « L'uomo •• è invece un quadro fascinoso e
affascinante come può esserlo uno specchio, che sembra fatto
soltanto di aria e di luce.
C'è qui un incontro e una sorpresa. Finalmente l'uomo ha
scoperto se stesso e prova un'antica meraviglia proprio perché
il lume di una lanterna (quella dell'eterno Diogene) accorcia le
distanze colorate fra i due uomini, invecchiati in una identità
sconvolgente.
In tal modo possiamo dire che l'arte di Umberto Verdirosi, sia essa
pittura, scultura, poesia o teatro, può essere giudicata
nell'ambito di un espressionismo che ha il suo centro in una lirica e
plastica visione della vita, visitata dall'interno con una
inventività costante e una presenza della forma nella sua
essenzialità. In essa si fa viva una qualità che è
magia e dramma; simbolo significante e allegoria risolta sia in senso
fantastico che metafisico. Vi è insomma la ricomposizione di un
mondo onirico con sfondi decisamente poetici, mai descrittivi, ma
ricreanti un'atmosfera che vive e vibra per far corpo, con immagini
icastiche, evocatrici, dense di umanità. Personaggi e figure
dominanti sono: una lunga sciarpa rossa; porte spalancate su un altrove
che può essere l'infinito o lo stesso mistero. Il volto di un
« Vecchio » che gioca con la morte; un Arlecchino
abbandonato sopra una cassa: emblema malinconico e pensoso di uno
spettacolo di già consumato, ma presente e così caro alla
vita interiore dell'attore Verdirosi. Vi è inoltre l'allucinante
presenza della tela bianca; essa sembra suggerirci il riflesso appena
accennato del pittore sotto il bagliore di una luce fredda ed
estraniata; una luce a picco sulla presenza di oggetti assolutamente
streganti.
Lo stesso Shakespeare, autore di stupendi sonetti, è sentito con
quel senso tragico che fa emergere, in un cerchio di penombre e di
improvvisi bagliori, l'uomo divorato dal « sospetto » ma
sempre protetto da quell'ossessionante sciarpa mossa dal vento di una
vagante disperazione. Lo stesso « Destino » si muove
guidato dal braccio, teso in avanti, e che sembra indicare,
coll'indice, ciò che ci trascende » e si muove,
filamentoso e venato, sotto una lama gelida e deserta. Ma come ho
accennato sopra, Verdirosi è anche uno scultore dotato di una
potenza plastica tutta espressiva.
Il suo « Cristo » getta un urlo prolungato verso il Dio
ormai lontano dal Golgota. Un volto di Gesù da ricordare,
così dolorosamente solo nella sua rugosa agonia; così
tragicamente maturo per la morte. Potenti i due schiavi incatenati, con
le spalle rivolte alla pietà degli occhi che li contemplano e
che scoprono in essi una evidente eredità michelangiolesca.
Nel panorama delle arti figurative, Verdirosi si presenta oggi come uno
degli artisti più autentici: dotato di una estrosità
costante, di uno spirito riflessivo, di una sensibilità sottile
e di una intelligenza viva e costruttiva.
Osservando, con attenzione e amore, le sue opere ci si convince
immediatamente di trovarsi davanti a un poeta che possiede non soltanto
l'arte della parola, ma soprattutto il linguaggio del disegno e del
colore; la forza plasmatrice della materia, destinata a farsi segno o
voce dolorosa e dolente della bellezza scolpita. Un artista così
genuino non può certamente entrare, almeno per ora, nei tetri
annali (di certa « arte nuova ») compilati da gaglioffi
travestiti da intellettuali, abili soltanto nell'arte dell'inganno,
della mistificazione, del baratto e della truffa culturale e
linguistica.
In Verdirosi, invece, la tradizione delle arti figurative è
sentita e portata avanti come una necessità e, soprattutto, come
una originalità conquistata, giorno dopo giorno, con una dose
non indifferente di amore e di fantasia: facoltà e sentimenti
che, attualmente sono quasi sempre volutamente ignorati.